Lascia il calcio Joe Cole: il fantasista che fece innamorare l’Inghilterra

Simone Dell’Uomo

Un altro esteta, un altro folle, un altro assoluto trequartista puro genio e sregolatezza lascia il calcio. Lascia il calcio più bello, quello inglese, quello in cui ha lasciato a bocca aperta milioni di tifosi di tutti gli stadi oltremanica. Lascia il calcio Joe Cole, un altro membro di una fallibile golden generation che non ha mai vinto alcun trofeo. Da Eriksson a Capello, l’Inghilterra di Rio Ferdinand, John Terry, Steven Gerrard, David Beckham e Frankie Lampard non è mai riuscita a portare a Londra alcuna manifestazione internazionale. Il fantasista di quegli anni era lui, Joe Cole, che da vero Number Ten sprizzava giocate da tutti i suoi pori: incredibile la traiettoria in Germania in quell’Inghilterra-Svezia terminata 2-2, partita che oltremanica ricordano purtroppo per l’ennesimo gravissimo infortunio che bloccò inesorabilmente la carriera di Michael Owen. Una carriera lunghissima e piena di successi per il ragazzo cresciuto nel settore giovanile del West Ham, un West Ham che a cavallo tra fine anni 90 e inizi 2000 sfornava talenti di assoluto valore grazie al lavoro di quella vecchia volpe di Harry Redknapp, uno che di calcio se ne intende, altrochè. Splendidi i video che stanno spopolando il mondo del web nelle ultime ore, video che ritraggono un bambino esultare visceralmente segnando gol importanti in tutto il suo percorso nel settore giovanile della squadra per cui anche tuttora fa il tifo. E in quegli anni mostra giocate d’alta scuola: classico trequartista inglese, per nulla impaurito dalla fisicità di avversari in un campionato a quei tempi ancora tanto rozzo quanto duro, rapido e cattivo nelle sue giocate più che elegante, più un Gianfranco Zola che un Glenn Hoddle, per capirci. Cresciuto all’ombra di un maestro come Paolo Di Canio, il ragazzo trovò via via sempre più spazio conquistando cuore e passione del Boleyn Ground. A maggio 2003 il West Ham retrocesse nonostante un gran finale di stagione culminato col passo falso di Birmingham, ma la figura di Joe era già talmente grande e calcisticamente attraente da conquistare fiducia e denaro di Roman Abramovic: fu uno dei primi colpi del Chelsea russo, uno dei primi nomi che Ranieri suggerì al suo presidente per rinforzare il pacchetto offensivo dei suoi Blues. Con Mourinho fu costretto ad allargarsi, ad occupare la fascia sinistra per favorire con le sue intuzioni le sovrapposizioni esterne di Bridge e quelle interne di Damien Duff, mezzala perfetta per il 4-3-3 della prima britannica del tecnico portoghese. Costretto a rincorrere il terzino destro avversario, perse un pochino di lucidità offensiva, anche perchè in quella posizione non garantiva i gol richiesti dallo special One. Per questo negli anni perse il posto da titolare inamovibile, ma restò comunque il dodicesimo uomo, quello decisivo, quello dai gol pesanti. Il Man United di Ferguson una delle sue vittime preferite: prima il destro perfetto a maggio 2006, poi il gol di tacco in piena era Ancelotti che valse il titolo al tecnico italiano. Mai titolare inamovibile, sempre decisivo: non un uomo cardine attorno cui costruire una squadra, ma una ciliegina perfetta per rendere imprevedibile una torta che avrebbe vinto per tantissimi anni. Tutti trofei che fino al 2010, anno della partenza direzione Liverpool, contraddistinguono tuttora il palmares del fantasista britannico: ben tre Premier, due coppe di Lega, tre Coppe d’Inghilterra. Dopo 7 anni di successi Abramovic decise di non rinnovare il contratto, ma Joe resterà sempre tra i tifosi blues. Partì per il nord, direzione Liverpool. Lo voleva il suo vecchio mentore, Harry Redknapp, ai tempi architetto di un Tottenham fantastico che vantava giovani fuoriclasse come Modric e Bale. Ma ad un tifoso del West Ham che ha scritto la storia del Chelsea non si poteva chiedere di firmare per gli Spurs, proprio no. Harry virò su Rafael Van Der Vaart, artista olandese che non rientrava più nei piani del Madrid di Mourinho; Cole accettò la corte di “King” Kenny Dalglish, sperando di colpire ancora e scaldare i cuori di un altro pubblico dai palati fini, assolutamente fini, che sa riconoscere tecnica, coraggio e determinazione. Nonostante gli ottimi ingredienti, la storia d’amore col pubblico di Anfield durò però ben poco: erano anni di transizione a Liverpool, Torres stava andando via e le prosperose annate di Brendan Rodgers e Jurgen Klopp erano troppo lontane. I troppi infortuni fecero il resto e Joe iniziò il suo lento cammino di negative esperienze che lo portarono a terminare la sua carriera. Prima un’esotica quanto breve esperienza al Lille di Garcia, che cercò senza successo di sostituire una stella di nome Eden Hazard passata proprio al Chelsea. Poi il ritorno a casa, il ritorno al West Ham, ma i rapporti non proprio idilliaci con Sam Allardyce ed un calcio troppo difensivo non favorirono le prestazione di un calciatore ormai sul viale del tramonto e lontano dai suoi vecchi fasti. Aston Villa e Coventry due club di passaggio, prima dell’avventura in America con l’esotica matricola TB Rowdies. E dopo due anni di villeggiatura calcistica è finita così la carriera Joe, che soltanto qualche giorno fa ha annunciato di voler attaccare le scarpe al chiodo. Il ragazzo cresciuto nei quartieri più temibili dell’est di Londra ha detto basta. Adesso è diventato grande, adesso potrà regalare l’esperienza acquisita da calciatore alle nuove giovani leve. Già, perchè ha già dichiarato di voler allenare. Non lascia uno qualsiasi, davvero. Non lascia uno che ha scritto la storia, lascia però una figura che trasmette calcio inglese. E avrà tanto da trasmettere Joe. “Spero che nei prossimi 20 anni conquisterò lo stesso successo ottenuto da calciatore”. Ha le idee chiare Joe, il ragazzo è diventato grande. E credetemi: di trequartisti che abbinino tecnica, determinazione e aggressività non ce ne sono molti nel calcio di oggi. Il classico Number Ten da Barclays Premier League. Piccoli fantasisti britannici, prego, sedetevi comodi, stanno per iniziare le lezioni del professor Joe.

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