E’ Immobile, eppur si muove (la classifica dei bomber)

Nella foto: Ciro Immobile (FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

di Dario Ricci *

A far chiarezza fin dalla prima riga (o meglio, fin dall’intersezione della linea di fondo con quella del fallo laterale, dove mi trovo): non credo che Ciro Immobile abbia bisogno di avvocati, né sono laziale, né credo che sia il più grande centravanti della storia del calcio. Insomma, non sono né invaghito né invasato; semplicemente, guardo carriere e numeri, e provo a ricavarne un senso, mescolato con istintive percezioni e più ponderati ragionamenti. Certo paradossale, la carriera di Immobile in azzurro (come del resto quella dell’intera sua generazione): campione d’Europa a Euro2020, eppure fuori da due Mondiali consecutivi, ed eliminato al primo turno alla sua unica fase finale della Coppa del Mondo (Brasile 2014): vette e abissi ugualmente storici nella storia della nostra Nazionale, anche se la reiterazione dei secondi (quasi) offusca l’unicità della prima.

E nei club? Il palmares – se confrontato al numero dei gol – è di fatto misero, contando al momento una coppa Italia e due Supercoppe italiane con la maglia della Lazio, e la Supercoppa tedesca 2014 conquistata durante la breve esperienza nel Borussia Dortmund, seguita dall’altra altrettanto breve e avara di soddisfazioni a Siviglia. Eppure (altro paradosso dolente eppure fecondo al tempo stesso), la classifica dei goleador l’ha sempre mossa, Ciro immobile da Torre Annunziata, a 32 anni già tre volte miglior bomber della serie A (e in corsa per il poker…), e una della B, ai tempi dell’immaginifica promozione nella massima categoria ottenuta dal Pescara suo, di Insigne e di Verratti e griffato dal genio visionario di Zeman.

E allora? Come se ne esce? Davvero l’era azzurra di Ciro è agli sgoccioli, o addirittura finita, soprattutto dopo il fallimento in salsa macedone? Davvero sarà Scamacca, o Raspadori, o qualcun altro (non ancora all’orizzonte, in verità…) a diventarne sin da subito l’erede nel cuore dell’attacco della ‘nuova’ Italia di Roberto Mancini, che dovrà dimostrare di sapere rinascere – italica fenice – dalle proprie ceneri calcistiche? Non di rado, la parabola azzurra di Immobile è stata accostata a quella di un altro grande bomber (ironia della sorte, romanista!) che tanto successo ebbe con la maglia del club quanto poco invece con quella della Nazionale, e cioè Roberto Pruzzo, escluso da Enzo Bearzot dalla spedizione al (vincente) mundial di Spagna82 in favore di Paolo Rossi. Similitudine che qui nasce e finisce, però, vien da dire, perché il rapporto intimo e umano tra il Vecio e Pablito era qualcosa di unico e irripetibile, ma di sicuro il bomber laziale non poi così estraneo almeno alle logiche calcistiche di Mancini. Senza dimenticare poi il contesto generale: agli albori degli Anni Ottanta del secolo scorso il bacino da cui poter pescare era, per il ct azzurro, di sicuro più ampio e profondo (basti pensare che alla vittoriosa spedizione spagnola mancò causa infortunio pure quel Bettega che di Rossi era la spalla e il completamento ideale); oggi, i tempi di maturazione di altri Bettega, Rossi o Altobelli sembrano molto più articolati e complessi; anzi, a dire la verità, neppure di Ciro Immobile da Torre Annunziata si vede già un alter ego in arrivo.    

*giornalista di Radio24-IlSole24Ore

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