Simone Dell’Uomo
Finalmente completo il quadro delle 4 semifinaliste della FA Cup versione 2017-18. Sorteggio benevolo per il Chelsea di Conte nel weekend del 21-22 aprile affronterà i Saints; nettamente più scoppiettante ed equilibrato l’altro duello, quello tra United e Tottenham, un duello difficilmente pronosticabile.
Chiusi da poco infatti i quarti finale. Il Chelsea espugna Leicester al termine di 120 minuti estenuanti: avanti Morata, pareggia Vardy, la testa di Pedro sblocca i supplementari. Finisce 2-1, Conte sbanca il King Power sfruttando il primo errore vero della retroguardia di Puel. Compattezza e ripartenza ricetta estremamente italiana, il tecnico pugliese conquista così le semifinali.
Splendido e rotondo successo quello del Tottenham che vince in Galles senza Harry Kane esprimendo tutto il suo meraviglioso tasso tecnico offensivo: 3-0 allo Swansea, doppietta di Eriksen e stoccata di Lamela, entrambe realizzazione che evidenziano la maestosa qualità degli Spurs. Pochettino vola a Wembley, così come il suo ex team, quel Southampton capace di annientare i sogni di gloria della favola Wigan e conquistare un 2-0 che elimina il team di League One. Bene il Manchester di Mourinho, che dopo aver ipotecato il secondo posto in Premier e dopo aver incassato la dolorosissima eliminazione in Champions, punterà forte sull’unico titolo rimasto disperatamente nella stagione dello Special One: la Fa Cup. Sotto la neve di Old Trafford 2-0 al Brighton: Lukaku e Matic, lo United va.
Se la Premier League ha parzialmente arrestato il suo passo regalando spazio e lustro alla storica Coppa d’Inghilterra, non va sottovalutato il 5-0 interno del Liverpool col Watford, un punteggio quasi tennistico in cui brilla un super Salah in grado di consegnare alla sua stagione da record un poker che lo proietta a quota 28 reti in campionato. Peccato per l’infortunio di Harry Kane, altrimenti quello tra il faraone egiziano e l’uragano del nord di Londra sarebbe davvero diventato un duello tanto intenso quanto avvincente da fare invidia ai migliori Western del passato cinematografico. Tra gli altri risultati spicca la vittoria del Bournemouth su un West Brom ormai condannato, il colpo esterno dell’Everton che terrorizza lo Stoke e quello del Palace che riscatta un mese difficilissimo ed espugna Huddersfield.
Uno degli aspetti più interessanti e giornalisticamente più discussi del weekend oltremanica resta però senz’altro il monologo di Mourinho, nella conferenza stampa che presentava il match interno col Brighton. 12 minuti intensi, 12 minuti di un signore che in Italia è definito il mago della comunicazione. Espressioni facciali e convinzione emotiva del tecnico portoghese, componenti che certamente aiutano lo spettatore a restare incollato alla telecamera, doti che anche i migliori conduttori televisivi son costretti ad ammirare. 12 minuti per riassumere forse ciò che è diventato il calcio moderno, ma non solo, forse il mondo del lavoro. Chiaro che chiunque nell’universo calcistico accetti un incarico, diventi il condottiero di un team, è chiamato ad analizzare in profondità il background da cui ripartire, studiando affondo la storia recente di un club o di un’azienda. The Football Heritage, così definita dallo Special One, l’eredità calcistica, i risultati conseguiti negli ultimi anni prima di riaprire un ciclo. Una seccante lista lunga 10 anni di insuccessi sportivi del Man United, per difendere la bontà del suo lavoro: tipical Jose Mourinho. Un discorso che ribadisce l’importanza del tempo, della progettualità, del lavoro negli anni, quel lavoro necessario per costruire un ciclo di successi, una mentalità vincente, un insieme di comportamenti giusti e mirati, per usare terminologia spallettiana, destinati a restare nel tempo. Discorso meravigliosamente profondo e vero, ribadisco, discorso però portato avanti da chi per antonomasia ha sempre confutato nel tempo, nella sua storia, nella sua carriera… questa filosofia. Mourinho è sempre stato il vincente, l’arrogante Special One, condottiero che insegue, persegue e nutre la sua missione, quella di vincere titoli, disperatamente e immeritatamente qualsiasi titolo, contro tutto e tutti, a dispetto di tutto e tutti. Sfruttando una deviazione, un episodio fortuito, talvolta varcando il confine del fair play e della lealtà sportiva. Contro il tempo, contro la stessa progettualità, contro la costruzione di una mentalità forte e avvincente, per difendere la clamorosa eliminazione col Siviglia e una piazza insorta perchè giustamente, se ti chiami Manchester United, non puoi permetterti sconfitte del genere. Proprio lo stesso Special One, da venerdì pomeriggio stranamente fautore di una progettualità calcistica, avrebbe potuto acquistare Lukaku un anno prima, invece di optare per un Zlatan Ibrahimovic perfetto per sparare gli ultimi colpi e conquistare disperatamente e frettolosamente Charity Shield e Coppa di Lega al primo anno di progetto, per usare un termine tanto caro al nuovo Mourinho targato marzo 2018. Proprio Mourinho avrebbe potuto spendere 110 milioni di euro per acquistare giovani elementi affamanti, invece di ripiegare su Pogba, icona del calcio francese, centrocampista potente e dagli indussi mezzi tecnici invidiabili, ma certamente non un calciatore in grado di vincere campionati da solo. La coerenza, questa sconosciuta. Un discorso del genere sarebbe coerente, comprensibile e meravigliosamente ammirabile se tenuto da Mauricio Pochettino, vero e proprio fondatore di una nuova era calcistica del Tottenham Hotspur, ma mai da Jose Mourinho. Curioso però che lo Special One non si sia accorto che proprio alle sue spalle c’è qualcuno che, all’interno della stessa città, all’interno degli stessi confini, sta riscrivendo il calcio inglese, dopo aver trasformato la nozione moderna di football col suo Barcellona. Già, proprio Pep, proprio il suo storico acerrimo nemico, un nemico che nell’ultimo decennio è stato in grado di proiettare e trasmettere l’aliena qualità del suo football scintillante negli schermi più prestigiosi del pianeta Terra.